L’ho comprato per il titolo

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Svegliamoci pure, ma a un'ora decente

L’ho comprato per il titolo. Appena ho cominciato a leggere “Svegliamoci pure, ma a un’ora decente“(Joshua Ferris, edito da Neri Pozza) ho pensato ecco, ho sbagliato libro, e l’ho pensato perché non amo i dentisti. Il protagonista del romanzo, Paul O’ Rourke, è proprio un dentista, un dentista di successo che ha lo studio in Park Avenue a NY e che vanta un tasso di fidelizzazioni molto alto. Fidelizzare tanti pazienti pare che sia un fatto raro per i dentisti e posso ben spiegarmelo: metà delle persone secondo me non li amano. Scommetterei che neanche i dentisti amino i loro pazienti, non conoscono che i loro denti e probabilmente quelli sani li stizziscono perché non producono vantaggi economici e quelli malridotti li indignano. Bene, ho continuato a leggere solo perché Ferris mi piace e perché la sua scrittura è particolarmente fluida e rapisce. Ho fatto bene, la storia è strana e Ferris riesce a trattare con leggerezza e in maniera originale temi un pò triti che deprimono facilmente gli individui come Paul, abbastanza ricchi da non avere problemi e abbastanza sensibili per non evitare di speculare in solitario sul senso dell’esistenza. Paul O’ Rourke dunque è ricco, affermato, distaccato e viziato ma insoddisfatto, sta attraversando una fase di quelle in cui ci si domanda se tutto ciò che si fa abbia un senso e se la risposta è no si passa subito alla seconda domanda, che è fatale: “io ho un senso?”. In queste circostanze si può rimanere in bilico per mesi ma anche per anni o per sempre senza che nessuno si accorga di nulla. Paul continua a lavorare, a coltivare interessi e rapporti affettivi, continua a provare sentimenti  e a fare progetti ma dentro di lui si è annidato il dubbio. Paul O’ Rourke, dentista, dubita. E’ anche infelice: soffre per la mancanza di qualcosa o di qualcuno che sia talmente vero oppure “al di sopra” da poter rappresentare per lui quello che definisce “tutto”, uno scopo che raggrumi in sé il significato del significato. Dio, per caso?  Paul ha disperatamente bisogno di “sentirsi spezzare il cuore”, quindi di vivere sul serio.  Arrivano gli imprevisti, qualcuno si spaccia per lui su un sito internet e comincia a suo nome a diffondere in rete messaggi dall’Antico testamento, frasi che Paul non ha mai pronunciato e che mai pronuncerebbe. Paul cerca di scoprire chi sia il misterioso hacker che si è appropriato della sua identità e che gli rovina la reputazione mettendolo in imbarazzo, e da quel momento le cose per lui possono solo migliorare.

Non è un capolavoro, ma è un buon libro che merita di essere letto per tre ragioni: la prima è lo stile magistrale, la seconda è che in 365 pagine più volte ci si trova di fronte a intuizioni e pensieri da annotare, frasi che da sole valgono ancor più dell’idea stessa su cui fonda la narrazione (l’identità virtuale). La terza ragione è che una volta finito il libro i dentisti non li si detesta più.

 

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